LA PRESENZA DELL’UOMO

Il sistema insediativo

Il sistema insediativo della Valle del Treja è quello tipico dei centri storici della campagna a nord di Roma, contraddistinta dal paesaggio delle forre. I caratteri identitari dell’area derivano dalla sua configurazione geomorfologica che, per caratteristiche ambientali e storiche, ha determinato uno sviluppo territoriale molto particolare: nuclei abitati sorti su pianori tufacei a strapiombo sui sottostanti corsi d’acqua. I centri che la punteggiano, originariamente piccoli agglomerati di case, sono costruiti con lo stesso materiale del loro substrato, che rende queste costruzioni la continuazione degli speroni tufacei su cui sorgono.

Per stabilirsi in queste zone, l’uomo ha dovuto ricercare, nel rapporto con il territorio, una sua integrazione, spesso difficile, ma ricca di stimoli. Dai periodi preistorici, quando l’insediamento si collocava lungo direttrici viarie legate ai fondovalle, il popolamento ha poi sfruttato le eccezionali particolarità difensive dei pianori. I villaggi, collocati sugli speroni tufacei, spesso delimitati dai corsi d’acqua su due o tre lati e fortificati sui restanti, sono l’immagine più tipica dell’abitato preromano. Il popolo dei Falisci ha saputo adattarsi appieno alle difficili condizioni del territorio, creando, tra l’VIII e il III secolo a.C., una cultura di straordinaria ricchezza, come testimoniano la produzione di ceramica, l’oreficeria e l’architettura funeraria. La struttura territoriale, messa in luce dagli scavi archeologici, dimostra che i pianori in quel periodo erano densamente occupati con un sistema insediativo tipico.

È il sistema “falisco” che non vede una chiara gerarchia nei nuclei abitati, come avveniva nel sistema etrusco, ma un’autonomia territoriale dei singoli centri, facenti riferimento, comunque, ad una capitale politica ed economica costituita da Falerii Veteres (l’odierna Civita Castellana). Il sistema si completava con un’intensa rete viaria di collegamento tra i nuclei abitati, con strade di fondovalle e di pianoro. La conquista romana dell’Agro falisco, completata nel III sec. a.C., porta ad un sistema territoriale radicalmente diverso.

Sia per motivi economici, sia per motivi strategico-militari, essendo decadute le esigenze di difesa territoriale, il modello dei villaggi arroccati viene a scomparire per trasformarsi in un sistema di ville e fattorie poste sui pianori più fertili. I maggiori nuclei abitati sono, in questa fase, Nepi e Falerii Novi (edificata nel III secolo a.C. non lontano dalla Veteres). Il quadro della viabilità è impostato su due grandi assi di comunicazione: a est la via Flaminia e a ovest la via Amerina (che collegava Roma e il territorio falisco con l’Umbria). Già dal II sec. a.C., inizia, per questo sistema, una lenta inversione di tendenza, e gli insediamenti dell’epoca preromana subiscono un progressivo abbandono.

Il legame con il territorio delle forre e con la sua matrice orografica si riafferma nel modello insediativo del periodo altomedievale, quando, per le rinnovate esigenze difensive, sono prescelti i luoghi più remoti e meno accessibili, rioccupando spesso i primitivi nuclei d’epoca falisca. Dall’VIII secolo le fattorie e i siti rurali sparsi sono definitivamente abbandonati a favore degli insediamenti fortificati, tipici del medioevo, che già nel X secolo costituiranno una potente frontiera di piccole e grandi fortezze a difesa di Roma.

Con il pieno raggiungimento del complesso polinucleare medievale, anche la viabilità si caratterizza per un sistema costituito dai due assi principali della via Amerina e della via Flaminia, con collegamenti secondari che si snodano su percorsi di crinale verso i castelli. Il modello insediativo non sarà più modificato.

Numerosi castelli saranno abbandonati tra il XIV e il XVII secolo, per privilegiare i borghi maggiori. Ma la rete stradale, l’insediamento rinserrato sulla rupe, lo sfruttamento agricolo del pianoro e delle risorse idriche di fondovalle (soprattutto per i mulini) resisteranno immutati per molti secoli successivi.

I castelli della Valle del Treja

Un’importantissima linea di difesa medievale

Tra il IX e il X secolo d.C. le continue scorrerie di saraceni e le bande di briganti resero le campagne molto insicure, costringendo le popolazioni ad abbandonare gli abitati sparsi e a rifugiarsi in insediamenti fortificati.

È il processo dell’incastellamento, che caratterizzò una lunga epoca e che, in questo territorio, condusse gli abitanti a rioccupare spesso i siti degli antichi villaggi falisci, arroccati sulle alte rupi e facilmente difendibili. Le condizioni orografiche uniche e la posizione geografica strategica trasformarono ben presto la stretta valle del Treja in una importantissima linea di difesa, a protezione della via Flaminia, principale strada di accesso a Roma da nord, ma anche della ricca Civita Castellana. E così, lungo il fiume Treja e i suoi affluenti, sono sorti i castelli che assicuravano la difesa: le stesse Calcata e Faleria, l’abbazia fortificata di Santa Maria, le cittadelle di Porciano e Filissano, i castelli di Paterno e Fogliano, Castel d’Ischia, Castel dell’Agnese e molti altri.

Ancora oggi, percorrendo i sentieri che attraversano la campagna, nelle zone più elevate dei rilievi, si incontrano i resti, in alcuni casi davvero imponenti e scenografici, delle strategiche rocche che difendevano il territorio nel Medioevo.

L’Agro falisco

L’antico popolo dei Falisci abitava il territorio vulcanico scosceso e impervio, compreso tra i Monti Cimini, il fiume Tevere e il lago di Bracciano, denominato Agro falisco. Il cuore di questa regione può essere identificato con il fiume Treja, vera e propria via di comunicazione, che, scorrendo da sud verso nord, raggiunge il Tevere. Il territorio risulta occupato sin dalla preistoria, con la frequentazione, a partire dal Neolitico, di numerose grotte di piccole dimensioni, chiamate “Cavernette falische”.

Durante l’età del Bronzo, sparsi capillarmente su tutto il territorio, piccoli villaggi d’altura costellavano la Valle del Treja. In seguito, lo sviluppo della città di Veio a sud fece da freno per l’occupazione del territorio falisco, che si svuotò dei villaggi e delle comunità che lo abitavano, attratte dalla nuova città in formazione. È solo verso l’inizio dell’VIII secolo a.C. che la zona torna a conoscere una certa crescita demografica. Nei punti nevralgici di attraversamento della valle, i coni tufacei sono occupati da agglomerati di capanne: le future città falische. Presto si distinguono Falerii (oggi Civita Castellana), la “capitale” del territorio che ha dato il nome all’intera regione, Corchiano, Vignanello e Narce (tra Mazzano Romano e Calcata).

Unica enclave non propriamente etrusca né propriamente latina sulla sponda destra del Tevere, l’Agro falisco fu un crocevia di genti e culture, una frontiera aperta, al centro del sistema dei popoli italici dell’Italia centrale. Tra tutti, i rapporti più stretti furono con gli Etruschi, forti alleati dei Falisci contro i Romani. Il rapporto con la città di Veio in particolare appare viscerale anche nel mito: Morrius, re di Veio, discenderebbe proprio da Halesus, il mitico fondatore della città di Falerii, figlio, secondo alcune narrazioni, del re di Micene Agamennone o, secondo altre, di Saturno o di Nettuno.

La conquista di Veio, avvenuta ad opera del console romano Furio Camillo nel 396 a.C., lasciò l’Agro falisco in balia delle mire espansionistiche di Roma. Dopo periodi di pace e nuovi contrasti, fu firmato un trattato di pace perpetua tra Roma e Falerii, mentre Narce, la cui realtà cittadina era ormai in dissoluzione, entrò nell’orbita politica romana. Nel 241 a.C. un ultimo focolaio di ribellione al dominio romano portò a un’ulteriore sconfitta, che sancì definitivamente l’inizio dell’assimilazione della cultura falisca da parte di Roma. Narce fu completamente abbandonata dai suoi abitanti, mentre la popolazione di Falerii fu deportata in pianura, a cinque chilometri dall’abitato originario, dove venne fondata Falerii Novi. La cultura e la lingua dei Falisci vennero lentamente ma costantemente assimilate a quella romana, entrando di fatto a far parte dell’unità politica e culturale imposta da Roma alla Penisola.

La vivacità dei santuari di Narce e di Falerii, che continuarono a essere frequentati almeno fino alla fine del I secolo a.C., testimonia tuttavia una memoria dell’identità del popolo falisco che sopravvisse alla sua fine politica. Il dominio romano sull’Agro falisco fu segnato dalla costruzione della grande via Amerina, la strada che congiungeva Roma con la città umbra di Ameria, oggi Amelia.

Non sappiamo esattamente quando fu costruita, ma il fatto che il tracciato coincida per un tratto con il cardine massimo di Falerii Novi testimonia che la sua realizzazione sia successiva al 241 a.C., anno della distruzione di Falerii e della fondazione della nuova città. Il percorso di questa strada, che non toccava direttamente la città di Narce, è da intendersi come strumento con il quale si articolò il processo di romanizzazione dell’Agro falisco. Il tracciato sopravvisse come arteria fondamentale del territorio anche dopo la caduta dell’impero romano, come ci testimoniano i siti e le torri di epoca medievale costruite lungo la via con funzione di controllo. La forte identità del territorio dell’Agro falisco non sembra finire con l’epoca antica. Ne è prova l’insediamento, durante l’altomedioevo, della Diocesi proprio nella città di Civita Castellana, l’antica Falerii capitale dell’Agro falisco, il cui territorio corrisponde oggi a quello diocesano.

Santa Maria di Castelvecchio

Necropoli de La Pietrina

Tempio Monte Li Santi-Le Rote